martedì 17 luglio 2012

un altro motivo per andarsene a zappare

Non è raro che molti cuochi siano gelosi delle proprie ricette.

Patologicamente gelosi.
Mia nonna, ad esempio, non ha nessuna carriera da difendere né concorrenza da sbaragliare e apparentemente è ben lieta di condividere con figli e nipoti le proprie ricette.
All'atto pratico, quando si vanno ad infornare quei consigli amorevolmente elargiti, il risultato è però disastroso, ed è senza alcun dubbio il "segreto della nonna" ad aver causato la debacle.

Volendo fare un esempio, ci fu quella volta che per pasqua volli preparare una pastiera. Mio padre ha la meritata reputazione di saper preparare una pastiera meravigliosa, così lo chiamai per ricevere qualche dritta.

"Nella pastiera ci va questo, questo e quest'altro."
"E le quantità?"
"Di tutto un chilo."

Fra questi ingredienti figurava anche la sugna. Domandai a mio padre se dovessi usare anche per lo strutto questa quantità.

"Si, si. Un chilo di ogni cosa."

Ovviamente venne fuori una torta al porco e ancora oggi vengo deriso per quell'esperimento. Altrettanto ovviamente mio padre continua a negare di avermi mai dato tali istruzioni.

Dunque molti cuochi sono patologicamente gelosi delle proprie ricette e probabilmente lo sarò anche io. Ma questa è una premessa.
Il fatto è, per forza di cose, che fidarsi delle ricette è sbagliato e che sia necessario partire da zero sia nella sperimentazione di nuovi piatti che nella replica.

È di una di queste repliche che voglio parlare.

Mia nonna (le nonne, le nonne) è una cuoca di tutto rispetto. Le sue tre armi principali sono paura, sorpresa, una quasi fanatica devozione al papa e i peperoni ripieni.
Già mio padre prima di me ha tentato di replicare questi peperoni, fallendo non so quante volte nonostante le chiare (e false, come abbiamo visto) indicazion di mia nonna. Così anche io ho raccolto il testimone e, come nelle peggiori saghe familiari, mi sono gettato nell'impresa.

A differenza di mio padre sono riuscito a replicare in maniera soddisfacente questi peperoni. Ho impiegato tre anni di tentativi e di analisi e credo di aver anche capito cosa intenda la gente quando parla di "soddisfazione sul lavoro". Tre lunghi anni di lavori clandestini e un risultato inaspettato.

Ho fatto tesoro dei miei esperimenti e ormai avanzo sulla via delle varianti. Così spesso mi vanto della portentosità di questo preparato.

Ecco, in questi giorni mi trovavo in una città straniera, ospite di una cara amica che anche aveva partecipato a lunghe riflessioni sui peperoni ripieni. Ho colto così l'occasione per mostrarle i risultati del mio lavoro e sono andato a procurarmi gli ingredienti.

E qui devo lanciare un anatema contro l'umanità.

Non è possibile che in un capoluogo di una provincia dell'ottava economia mondiale non sia possibile trovare del pane che non faccia schifo, delle olive che non sappiano di diserbante, dei capperi che non abbiano il sapore delle promesse, dei peperoni che non siano al gusto di anguria e dell'olio d'arachidi.

L'olio d'arachidi alla fine in realtà l'ho trovato, ma era in una confezione di plastica che puzzava come la miseria e credo che avrei fatto meglio a ripiegare su uno di quei preparati per "friggere senza l'unto delle loro madri".

Altra menzione d'onore va a tutti i salumieri che alla mia richiesta di un "pane casereccio" continuavano a mostrarmi come degli ottuusi ritardati degli stramaledettissimi panini all'olio.

E quindi anche oggi bisogna dire che non sarebbe una cattiva idea passare per le armi la civiltà.

Nessun commento:

Posta un commento