venerdì 21 novembre 2014

Desertazione

Da bambino, quando sfogliavo i primi libri di storia, mi chiedevo spesso perché mai le civiltà nascessero sempre in mezzo al deserto.
Proprio non capivo perché s'andassero a infognare in quei posti, piuttosto che rimanersene in zone più allegre.
La risposta è abbastanza semplice, ma sui libri non c'è: quando arrivarono gli uomini il deserto non c'era.

Oggi va molto di moda parlare di salvezza del pianeta. C'è l'inquinamento, la geopolitica, le epidemie, i disastri climatici e c'è anche la fame nel mondo. L'ambito agricolo è piuttosto importante: finché si mangia si può pensare ad altro. Senza cibo anche il buco dell'ozono passa in secondo piano. Abbiamo così il contrasto tra l'agricoltura convenzionale e quella biologica, fra il "genuino" e l'Ogm. Il problema è che nessuna delle due può funzionare.

I genetisti vantano un armamentario piuttosto ricco tra cui spiccano la capacità di ottenere risultati subito e di ottenerli lì dove si era persa ogni speranza. I problemi relativi alla salute del consumatore e all'aumento dell'uso di pesticidi sono semplici fantasie, le criticità sono altre e non dipendono dall'organismo in se ma dall'uso che se ne fa. Mi riferisco alla tendenza che hanno i brevetti americani di non scadere mai, alla perdita di biodiversità conseguente l'adozione di un solo cultivar su scala mondiale e all'incognita delle ibridazioni in natura.
In realtà queste ultime due non sono un'esclusiva degli Ogm quanto dell'agricoltura intensiva in generale. La vecchia filossera della vite e la più attuale varroa delle api sono esempi azzeccati di come non siano necessari gli OGM per portare all'estinzione qualcosa. Le nuove tecnologie rischiano però di aumentare esponenzialmente la portata di questi disastri, se trattate come cultivar qualsiasi.

L'agricoltura biologica si erge quindi come paladina della terra, difensore degli oppressi e flagello di mutanti e pesticidi.
Il risultato pratico è però equivalente alle femministe che s'indignano su facebook.
Parliamoci chiaramente: il biologico fatto a regola d'arte non solo non può soddisfare le esigenze alimentari mondiali ma non può nemmeno salvare il pianeta.
I romani coltivavano biologico. Concimavano con la merda, ruotavano le colture, riciclavano gli scarti agricoli nell'azienda e tutte le altre belle cose. Hanno coltivato in maniera biologica le coste del nord africa così bene che adesso sono un deserto.
Usare come scusa l'aumento delle temperature a partire dal 300 dc. non è sufficiente, perché l'agricoltura dei romani ha comunque consegnato un ecosistema incapace di reagire ai cambiamenti. Adesso che siamo di fronte a un nuovo aumento delle temperature vale la pena chiedersi se è saggio affidarsi a qualcosa che ha già fallito.

In realtà l'agricoltura biologica non si pone affatto il problema di come salvaguardare se stessa e il pianeta dagli sconvolgimenti climatici perché è un metodo dannatamente antropocentrico. L'assoluta mancanza di norme volte alla tutela e all'integrazione dell'ambiente selvatico è un buon esempio dei limiti del metodo biologico.

Il motivo per cui gli antichi hanno rovinato le loro case, tanto da doversi rifugiare intorno alle uniche aree fertili rimaste, nei pressi dei grandi fiumi, urbanizzando l'area e dando vita alla società, è che non possedevano nè esempi storici a cui rifarsi, né la capacità di concordare una politica agricola meno aggressiva per far fronte ai cambiamenti climatici.

Oggi le domande che dovremmo porci sono "come rendere per davvero sostenibile l'agricoltura?", "come sfruttarla per salvaguardare i microclimi e contrastare la desertificazione?" "come prevenire disastri di scala mondiale senza abbandonare i vantaggi del miglioramento genetico?", "come eliminare gli affamati?" ma nessuno sembra interessato.

Di sicuro le risposte non si trovano nel biologico e nello spam di Ogm. Forse dovremmo ispirarci agli ebrei o forse dovremmo inventarci qualche altra cosa. Io mo ci penso.

Se invece siete curiosi di sapere perché scrivo, sappiate che comunque ne provo molta vergogna.

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